La casa dei Tomba Gossar in via Obastat (Dante 8)
Da Canove ad Asiago
Questo post doveva essere dedicato all'Altopiano e alle sue prelibatezze dolciarie, in realtà nella prima parte mi sono impantanato nella mia amata Venezia, una città che quando ci entri o ci scrivi, per calli, chiese, musei, pasticceria e storia fai fatica ad uscirne.
Tra l'altro è la città dove alla fine avrò abitato di più, a meno che non mi capiti la sventura di seguire le orme del triestino Gillo Dorfles, e campare così a lungo per vedere e sentire chissà quante e quali altre nefandezze: robe da turchi a cui nessuna fortezza di Palmanova memoria sembra poter più resistere.
Abitando vicino ai Frari dove ha sede l'Archivio Storico della Serenissima, temevo sempre che prima o poi mi ci sarei impelagato dentro, da lì ero certo che non ne sarei più uscito, riducendomi come un frate dell'ex convento francescano.
Così mi sono ritirato quassù dove gli archivi parrocchiali e comunali sono dei moscerini in confronto, e mi concedono più tempo libero, permettendomi di riprendere le mie passioni giovanili confrontarmi con la natura circostante, camminando ed esplorando.
Tra l'altro i miei cari vecchietti se ne sono andati quasi tutti, il mio "convento" oggi ha la forma di un accogliente riparo, la Kugola, dove tra poco, deposta la penna, riprenderò a scavare e contare gli innocui splinzeghi-orbettini, i bimbisoli-lombrichi trituratori di terra e a cantare con rospi e rane, imperterriti e instancabili riproduttori di uova.
Dall'alto mi osservano le grole, le cornacchie «Le prefiche alate – come diceva il caro Fermino Brazzale – che meditano e piangono i loro morti e ce li riportano al presente riannodandoci alla vita passata, conservata sotto concia da tradizioni e legami, che evolvono in mito. Senza morti non hai stabilità. Sei una capanna di frasche in balia del vento».
Così queste volontarie del lutto mi annunciano che i miei cari vecchietti se ne stando andando quasi tutti e il mio compito si sta esaurendo: il dovere civile di documentare gli ultimi testimoni resistenziali dell'ultima guerra, tra poco sarò solo a continuare la mia opera di resilienza.
Siamo alla frutta, anzi al dessert.
Prove di teatro in casa dei villeggioanti Pesavento, fine anni '50
A Canove
Le vacanze estive ed invernali le trascorrevo più a Canove che a Cesuna, lì nella grande casa dei Gossar Tomba ho fatto in tempo a conoscere i nonni materni, Tönle e Sirlia: metà della loro vita l'avevano vissuta prima della Prima Guerra.
Il nonno da adolescente andava a lavorare stagionalmente in Austria-Ungheria con la carriola, giù per il Menador, che poi l'Impero era lì a due passi e il nonno lo vedeva tutti i giorni dai boschi del Pusterle e della Meatta dove tagliava legna.
In seguito senza carriola è andato un paio di volte negli Stati Uniti. Purtroppo ho scordato di chiedergli dei mesi che ha trascorso sulle navi avanti e indietro per l'oceano, ero troppo indaffarato a scombussolargli la stalla e la legnaia per costruir casotti nell'orto.
In quella grande casa oggi deserta, d'estate a cavallo degli anni '50-'60, ci saranno stati otto nuclei famigliari in affitto, con qualche cugino, in tutto una ventina di bambini, tutti coetanei.
Lo riconosco, sono stato un privilegiato, non sono mai stato parcheggiato in colonia, salvo un breve periodo sotto la tutela delle suore all'asilo e il periodo del servizio militare obbligatorio, quindici mesi buttati via tra insulsaggini di cui avrei fatto volentieri a meno. Ma in confronto ai nonni e ai genitori che si son fatti due guerre, emigrazione e profugato, posso dire di essere vissuto nella bambagia.
In quella grande casa, una “colonia” senza istitutrici e suore, una famiglia di Padova condivideva con noi la cucina per più stagioni: lì due femminucce con fratellino e nonna al seguito mi hanno dato una mano a crescere.
Io all'epoca non ne volevo sapere di crescere con le donne, lo giuro allora non mi interessavano, ero più interessato alla sottostante Valdassa e alla slenka, la fionda, che portavo sempre nella tasca posteriore. Ma con queste due bimbette abbastanza precoci, oltre alla tavola da pranzo, dividevamo anche la grande credenza: metà a loro e metà a noi e io non sapevo mai da che parte mettere le mani.
E poi c'era lo sbrattacucina, con poca luce e quel caratteristico odore di umidità che lasciavano i rami e il grande secchiaio inghiottitoio che mai ha conosciuto un idraulico.
La Kubala alle Seleghen Baiblen di Canove occupata dagli austriaci nel 1916
Già allora tendenzialmente ero molto indipendente e quando litigavo in famiglia, prendevo il mio primo sacco a pelo e me ne andavo a dormire in una skaffa, una kubala a precipizio sull'Assa giù alle Seleghen baiblen, poco lontano oltre il cimitero, sopra la strada vecchia per Roana.
Pensavo di essere il solo a conoscerla, ma recentemente ho scoperto che lì si rifugiavano anche gli austroungarici per ripararsi dalle granate italiane. Un po' lo sospettavo, quassù la storia ci perseguita piena di ferraglia.
Il mio interesse già allora era indirizzato verso l'escursionismo e quasi quotidianamente guidavo il gruppo di coetanei dietro casa, giù per le moine della Peschiera, in un piccolo canyon che ci portava diretti sul fondo dell'Assa a Sant'Antõnle, dove in alcune vasche naturali si poteva fare il bagno, se non lo avevamo già fatto prima incidentalmente scendendo lungo il canyon che era come uno scivolo: chi scivolava lo vedevamo passare sotto alle nostre gambe aperte e lo ritrovavamo più sotto, a mollo nella polla d'acqua.
Basserstock Sciovia
Se poi vi dico che a Canove al Basserstok, dall'altra parte della valle sotto ai campi di patate del nonno, c'era anche una pista di discesa, il quadro è completo, estate e inverno; In realtà io, proveniente dal tempio della discesa fuori pista di Recoaro, disdegnavo quella pistarella da principianti, ma non le bimbette che nel frattempo erano cresciute e a cui ora ero io a poter insegnare qualcosa.
A questo punto mi rendo conto che sto come al solito menando il can per l'aia e che non ho ancora parlato di pastine. Vengo subito al dunque.
Una gita alternativa a quelle in Valdassa, alla Loite Kubala, all'Hinterknotto o giù al Kaltaprunno, era quella di recarsi “rento” Asiago a piedi lungo la ferrovia, lo scopo era gastronomico; il percorso era tutto pianeggiante, più fluido e veloce di oggi, dopo l'ultimo casello sotto la Gaiga si apriva la piana Mosele-Mörar, ancora integra dallo scempio perpetrato ai danni di un bellissimo paesaggio.
La contrada Mosele vista dal ponte ferroviario alla fine degli anni '50
I grandi urbanisti dell'epoca decisero che proprio lì, dove c'era la sopraelevazione ferroviaria che scavalcava la strada che univa le due contrade, doveva sorgere un caseificio con annesso supermercato, punto di arrivo dei camion cisterna che giornalmente salgono sull'Altopiano dei Sette Comuni per conferire gran parte del latte per la lavorazione, proveniente delle Terre dell'Altopiano di Asiago di pianura, munto nelle stalle delle province sottostanti.
Fromage au dessert?
Pastine!
Tutti da Brazzale, in Corso ad Asiago. (continua)