Nascere a Villa Nuova sul versante posterno di Recoaro, voleva dire godere di meno dei benfici del sole, ma avere di fronte un panorama decisamente più bello: la corona di montagne dall'Obante al Pasubio, tutta la Val Calda con le contrade sparse, e le ville fin de siècle sul lato opposto.
Per non parlare dell'innevamento che si conservava più a lungo sulla Pista e ai Pralonghi, e del ghiaccio che ci permetteva di scendere con la scaliera in centro per recarci a scuola; nel risalire a piedi la pontara dei Tre Garofani, tenevamo orgogliosamente lo slittino sulle spalle impugnandolo per il manichetto di nocciolo ritorto.
Nel periodo estivo al di fuori dell'albergo stazionava spesso un Bertoldi, un anziano dei Gattera col cappello d'alpino che, montato un lungo cannocchiale su un trespolo, per pochi centesimi faceva vedere il Pasubio, raccontandone le battaglie a cui aveva partecipato.
Per me quel cannocchiale rivolto a nord era una gran tentazione, non per guardarci dentro, quella stupida guerra mi ha sempre inorridito, ma per andarci davvero la dentro.
I primi ricordi di essermi recato nel versante opposto della valle risalgono al periodo dell'asilo; negli ultimi tempi ci andavo da solo, con il grembiulino azzurro e il cestino di vimini per riportare a casa la biancheria sporca, succede a quell'età.
Proprio in quel tragitto ho maturato il mio primo progetto di fuga.
Avevo un amichetto che abitava ai Cischele, o più in là verso i Floriani, una contrada che si intravedeva appena sull'altro lato della valle, in direzione del Pasubio che occludeva la vista a nord. La famiglia aveva deciso di lasciare tutto e partire per l'Australia, così decisi di andarlo a salutare per l'ultima volta.
Con l'occasione volevo vedere anche quello che c'era dietro al Pasubio che immaginavo in prossimità dei Cischele.
In termini antropologici il mio era un viaggio iniziatico, decisamente precoce per quell'età, Nelle società tribali i giovani per dimostrare la loro maturità dovevano andare via da soli e cavarsela alla bell'è meglio.
Così quel giorno scesi per la scorciatoie a zig zag tra le aiuole, attraversai il cantiere del nuovo piazzale della seggiovia in fase di ultimazione e, superato il vecchio ponticello sull'Agno, attraversai la piazza costeggiando l'albergo Cappello sulla destra. Giunto di fronte alla pontara dell'asilo, o del cimitero che è la stessa cosa, misi in atto il mio piano, girai a destra in direzione della Strade Nuove.
Le scorciatoie mi portarono ben presto in prossimità della Fonte Capitello, e qui i ricordi sono vaghi; forse dall'alto della tenebrosa Villa Maria sentii delle voci gridare “El fiolo del dasiàro, el fiolo del dasiàro!”, e la mia fuga finì sul nascere.
Papà per ovvi motivi era molto conosciuto e temuto; forse mi scambiarono per un suo agente a caccia di grappa distillata e mas-cio fato su de contrabbando.
Fatto sta che fui riconsegnato alle suore dell'asilo, persi di vista l'amichetto australiano di cui non ricordo neanche il nome, e dovetti aspettare un bel po' per riprendere il mio personale viaggio, questa volta a sud.