Sono nato a Recoaro, in casa, anzi in albergo, letto e finestra rivolti a nord, nel paesaggio ci sono stato fiondato dentro fin dalla nascita.
Papà Cristiano è stato chiamato a dirigere l'ufficio dazio di Recoaro nel 1945, allora se cercavi casa la trovavi solo in albergo.
“In che buso me gheto portà Nelo!”, disse la mamma cresciuta nel centro dell'Altopiano del Sole, lei era abituata a ben altri panorami.
La posizione era dominante, davanti avevo il nord, il mio istinto mi portava a crescere da quella parte, il sud non sapevo cosa fosse.
Ero attratto dal nord, le mie fantasie erano tutte da quella parte, verso i crinali del Leogra e del Posina, dominati dal massiccio del Pasubio.
Fortuna volle che negli anni '50, poco distante dalla Villa Nuova, vivesse ancora per poco una piccola contrada, i Gattera di Sotto.
Nell'Albergo abitava anche la famiglia Bertoldi originaria della contrada, con tre figli, tra cui l'Ermes un mio coetaneo: quello fu il gancio che mi permise di vivere più lassù che nel centro del paese.
Lì imparai a tirare di fionda, la slenka, e a costruirle sotto la guida dell'Antonio "Grande", che poi si costruì una casa sull'Ara.
Più sotto, su un altro pianoro, abitava l'Antonio "Piccolo"; allora pensavo che gli Antoni fossero tutti parenti, anche con la Tonina del pomaro, e col patrono Antonio Abate che ogni gelido gennaio ci portava gli autoscontri Rizzi nel piazzale di via Roma.
Antonio Grande aveva un tavolo da falegname dove riusciva a costruire di tutto: dai rocchetti di legno in cui era avvolto il filo, incidendoli sui bordi, ricavava dei carri armati che faceva deambulare con elastici, ma anche bellissime teleferiche per i trasporto della legna in forma di fulminanti, i fiammiferi.
Le forcelle di frassino delle fionde venivano piegate già sull'albero e poi scaldate sul fuoco. Gli elastici per tendere la coramella col spuacio de balini, si ricavavano dalle camere d'aria delle ruote ed erano di tre tipi: di bicicletta per principianti, di camion per robusti esperti tiratori e quelli di auto che andavano per la maggiore.
La famiglia Paganello, che per qualche stagione aveva preso in gestione l'Albergo, era originaria di Padova e a fine stagione decise di rimanere anche per l'inverno; avevano tre figli, due maschi della nostra età, Alfonsino e Loris. Fu una grande novità per l'Albergo, tre famiglie con otto figli: l'albergo si ravvivò anche nella stagione morta.
Un giorno, dopo aver addestrati anche i padovani sull'uso della fionda, ci schierammo nel cortile della Villa Nuova per vedere chi riusciva a tirare i sassi più lontano; secondo noi avrebbero dovuto superare il paese e perdersi oltre il primo sbarramento di colline che chiudevano l’orizzonte a nord.
La gara consisteva anche nel centrare con il sasso i crinali che avevamo di fronte: S.Giuliana, Passo Xon, i Pianalto, Rovegliana… nessuno raggiunse mai il Civillina, troppo distante sulla destra...e neanche gli altri bersagli.
Dopo un po’ di queste esercitazioni balistiche, scoprimmo gli inganni della prospettiva e delle illusioni ottiche; fu il mio primo approccio con questa scienza, una disciplina che poi ho coltivato in teatro con più successo e meno danni.
Fummo bruscamente interrotti da un concitato vociare sotto di noi, erano l'Ampelio e il Celeste, il personale della stazione di partenza della seggiovia sottostante la nostra postazione di tiro: stavano salendo sbracciandosi con fare minaccioso.
I sassi stavano sforacchiando i vetri della cabina di partenza: una griglia di piccoli vetri quadrati saldati con lo stucco.
Battemmo precipitosamente in ritirata, salendo affannosamente nei nostri covi ai Gattera.