filo spinato960

(Ph Sergio Maraboli)

PRIMO NATALE DI GUERRA

(installazione)

Quest'anno faccio fatica a dire qualcosa su quello che ho fatto, ho troppe cose da dire e non so da che parte cominciare.
 Negli ultimi tempi mi capita spesso di trovarmi in questa situazione che, con tutto il rispetto di chi soffre di questa fastidiosa malattia, chiamo bipolarismo ambientale, storico, artistico...
 Allora comincio dalla vox populi, quello che hanno detto un po' tutti quelli che passavano di qua in questi giorni:

L'Ostarelo xe drio tirar su un rocolo”

E hanno ragione. Cent'anni fa l'Altopiano è stato trasformato in un grande roccolo, una micidiale grande trappola di filo spinato per milioni di persone.
Proprio cent'anni fa, nel Natale del 1915, sul fronte delle Vezzene, si festeggiava il primo Natale di guerra; da entrambe le parti ci furono timidi segni di solidarietà tra i soldati; c'erano stati anche l'anno prima sul fronte franco-tedesco, e ci saranno anche nel '17, quando sullo Zebio un soldato venne mandato un anno in galera per aver stretto la mano al nemico facendogli gli auguri. I generali, i massoni, i Savoia, non potevano permettere segni di umanità tra la truppa.

Oggi per essere sintetico e pratico citerò solo Paolo Rumiz e il suo libro “Come cavalli che dormono in piedi”

Sono passati cent'anni e il tempo è maturo”

Scrive lo scrittore triestino prima di partire sulle tracce degli italiani sbagliati e del nonno che ha combattuto in Galizia con l'Impero. 
Sono passati cent'anni e il tempo è maturo anche per tirare giù dai monumenti, dalle vie, dalle piazze, dalle stazioni della metropolitana, criminali come Luigi Cadorna e altri suoi compari generali messi sugli altari dal fascismo.

Non se ne può più di tutta questa toponomastica stradale. A Recoaro abitavo in Piazzetta Vittorio Veneto, qui a Cesuna in via generale Achille Papa, uno dei miei primi amori abitava in via general Cantore a Padova. 
Per di più mio nonno Tönle Gozzar delle Cà Nove di Sotto è sempre vissuto in via Obastat, che in antico tedesco vuol dire andare alla città alta. Nel dopoguerra nazionalista la via venne dedicata a Dante, la vittima più illustre dell'ingrata Firenze; ci vollero cinque secoli prima che, grazie ai ravennati, gli fosse dedicato un monumento in piazza di S. Croce.

Ha lavorato bene il fascismo nel Ventennio. Quassù siamo ancora immersi in quell'insulsa retorica che si continua a tramandare; un sacco di balle che ci hanno inculcato a scuola sulla patria e sul suo «sacro» suolo, quando delle vite dei soldati, quelle si sacre ne hanno fatto uno scempio. Anche in tempo di pace traslandole indegnamente da un cimitero all'altro, fino all'Ossario di Asiago, un orribile Moloch che altera la dolcezza del paesaggio.

Tutti all'arrembaggio del Centenario; 
pirati del metadetector, restauratori di forti in subbappalto, raccoglitori di ferraglia, mummificatori di Caduti”. 
Come si fa a sollevare un polverone mediatico per un teschio ignoto trovato nei boschi qua attorno, quando nel dopoguerra vennero tutti buttati in fosse comuni; mio padre Cristiano, nell'immediato dopoguerra, si ricordava di aver visto a Cesuna i suoi coetanei giocare a calcio con uno di questi crani avvolto negli stracci a mo' di palla.

Alla lista degli italiani sbagliati di Rumiz dovrebbero essere aggiunti anche gli altopianesi, che hanno subito le umiliazioni peggiori e che si dovrebbero ribellare. Come i trentini, i triestini, gli sloveni, gli istriani, i dalmati, destinati a essere dimenticati, cancellati dalla storia. 
Cancellati dalla storia perché abitavano al di qua e al di là del confine, per niente in conflitto tra di loro. Anzi gli scambi erano continui e quassù si viveva pacifici da secoli. Come pacifiche erano le masse dei contadini del Sud che vennero quassù a morire come le mosche.
La guerra venne imposta da una minoranza di intellettuali e massoni, come quel pagliaccio da operetta di D'Annunzio che insultava, tacciandoli di imboscati, i prigionieri italiani in Austria-Ungheria; quelli del Cengio, traditi dai generali inetti e quelli dell'Ortigara.

Per questa installazione devo ringraziare due profughi ospiti a Cesuna: il nigeriano Kelly e il Ghanese Son Soh detto Sansone.
Mi hanno aiutato a pulire il bosco di famiglia dai secaroi, gli abeti morti che tanto ricordano quelli del Lèmerle, e a raccogliere e districare grovigli di filo spinato nei pascoli, alcuni risalenti al conflitto.

Prima della Prima Guerra 
(la mostra)

Dietro all'installazione c'è la vera mostra, un grande disegno da leggere che ho realizzato alla maniera ottocentesca, quando il disegno si alternava ancora alle prime macchine fotografiche.
L'Altopiano dei Sette Comuni, poco prima della sua fine, a cavallo tra '8-900 venne scoperto da un tipico viaggiatore di cultura mitteleuropea, Aristide Baragiola, che viveva tra Como la Germania e la Svizzera. Baragiola salì più volte quassù mentre insegnava all'Università di Padova; con la sua Kodak riprese i motivi della tipica architettura, e non ebbe timore di disegnarli, anche se in maniera ingenua; si appoggiò anche ad altri disegnatori tra cui il migliore Lino Vanzetti che ho cercato di imitare.
L'Italia, come tutto il Sud Europa, a partire dal Rinascimento, venne scoperta da viaggiatori simili: solitari camminatori come Baragiola, ricchi stravaganti come Norman Duglas e artisti eclettici come Escher.... scoprirono Capri, Cannes, Taormina... A Norman Duglas, che percorse le Calabrie a piedi negli stessi anni di Baragiola, la Sila ha dedicato un Parco Letterario. Quassù Baragiola è uno sconosciuto, troppi generali da incensare. Il suo libro pubblicato nel 1908 è un oggetto d'antiquariato, come lo sta diventando la reproriproduzione del 1980.

Per questa mostra devo ringraziare il bar Lèmerle che ha fatto installare nel giardino esterno i pilastri reggi pannelli; questa è la seconda e, grazie a questa struttura espositiva, altre mostre seguiranno.
Ringrazio anche Andrea Cunico Jegary che come al solito ha messo ha disposizione la sua professionalità per il progetto della mostra e del catalogo.

 

 

 

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