Nella prima metà degli anni '50 la mia scuola elementare era ubicata nel centro della valle, ma la maggior parte degli studenti abitava in sperdute contrade e per raggiungere la scuola dovevano percorrere impervi sentieri.
Prima di iniziare le lezioni venivamo sottoposti alla rivista igenica del collo e delle orecchie.
Al controllo dei quaderni con i compiti per casa si vedeva la differenza tra noi del centro e quelli delle contrade; svolgere i compiti al caldo nelle stalle o in ambienti male illuminati faceva la differenza.
I maestri erano bravi, ma fumavano in classe, il mio anche dieci Giubbek senza filtro in una mattinata.
La scuola era una ex caserma, negli angoli un altoparlante ogni tanto si metteva a gracchiare le canzoni pattriottiche; difficile cancellare i vent'anni precedenti di indottrinamento, tra i mostri di due guerre insulse mascherate con il patriottismo.
Alla fine delle lezioni i maestri ci accompagnavano in fila per due fino alla fine del viale di ippocastani, solo allora, ad un centinaio di metri dalla scuola, ci davano il rompete le righe.
Lì scoppiava la guerra, e a prevalere era la legge del più forte; facendo roteare con forza la “sacheta”, la cartella di cuoio con spigoli rinforzati di metallo, come delle trottole si cercava di raggiungere indenni la via di casa.
Qualcuno si attardava dolorante, ma col tempo si imparava.

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I maestri erano bravi, ma per punirci delle nostre mancanze o distrazioni ci bacchettavano sulle mani facendocele protendere in avanti, con due possibilità: palmi verso l'alto o verso il basso, che era ben più doloroso. Guai a ritirarle all'ultimo momento, la dose si sarebbe raddoppiata.
Ma gli anziani mi raccontavano che prima della guerra il parroco alla dottrina portava una vis-cia, una lunga e sottile bacchetta di nocciolo; dalla cattedra riusciva a colpire l'orecchio del mariuolo anche nelle ultime file.
Ma questo non era un prete qualsiasi, don Andrea era il miglior cacciatore di penna di tutta la provincia e ripagava i suoi chierichetti portandoli a caccia nei boschi per far alzare al posto dei cani i galli cedroni.
Ma altri mi raccontavano che dopo aver rischiato di perdere l'orecchio non misero più piede in chiesa.
In genere i preti erano bravi, ma tra loro ce n'era uno che alla dottrina ci raccontava delle cose incredibili; era un sadico con perversioni sessuofobiche che usava la cattedra per sfogarsi su di noi.
C'è voluto un po' di tempo perché il regista Pedro Almodovar e il make up Diego Dalla Palma, con cui ero in collegio a Venezia, raccontassero di quegli anni.
Anche la chiesa stessa sembra stia facendo ammenda.
Poi c'era don Bruno, quello che preferivo perché mi faceva cantare nel coro della chiesa, una cosa che mi piaceva moltissimo, soprattutto la notte di Natale. Non capivo niente del “Kyrie eleison”, ma mi piaceva, e mi è piaciuto ancora di più quando ho scoperto che deriva dal greco antico: vuol dire
“O Signore abbi pietà”.
Purtroppo in quegli anni crescevo in fretta, solo in altezza, la mia voce andò per la tangente e ho perso il posto nel coro.
Anche don Bruno si è perso per la tangente quando anni dopo si è spretato per maritarsi.

12 don Milani libri
Nel '68 venni a sapere di don Lorenzo Milani, il prete maestro di Calenzano e Barbiana negli stessi anni delle mie elementari.
Lui sì che insegnava, eccome! solo a studenti di contrada.
Lessi “Esperienze pastorali” e “Lettera ad una professoressa”, li preferivo al libretto rosso di Mao...

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06/20/papa-francesco-lennesima-svolta-don-milani-da-prete-in-odore-di-eresia-a-testimone-evangelico-della-chiesa/3670712/