21 dicembre18

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"Non era ancora sopraggiunta la sera e vi era tempo per visitare il giardino della Villa Barbarigo poco lontano. Quasi per prolungare le luci del giorno, su dalla vetta di un colle vicino una nube erta e sventagliata, come un pennacchio, si prese tutto il rosso del sole che già non si vedeva più, perché se ne era andato al di là dei colli. Pareva che quel vulcano antico e spento rievocasse nella sua fantasia i momenti delle sue più belle eruzioni. Al riverbero di questa luce penetrai in un viale dove le fronde abbassate e intricate formavano un lunghissimo portico arboreo, poi si giunse tra alte pareti formate da piante verdi e fitte, tagliate minuziose, tramutate in vialetti, in archi e altri vortici. Respiravo una tristezza immensa soprattutto perché mi rendevano presenti certe illustrazioni di Gustavo Dorè con alberi fantastici sino a impaurire. Ma stranamente mi sentivo vivere come in un'epoca lontana tra quelle prospettive vegetali che si facevano sempre più cupe col dileguarsi della luce. La certezza di vivere in un'altra epoca finì col convincermi che fosse il ricordo di un'altra vita, vissuta forse in quella villa e che avessi passeggiato tra quegli alberi". Giovanni Comisso 1947

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