Bipolarismo ambientale
Dopo quaranta splendidi anni passati a Venezia, ogni volta che ci ritorno mi sento ancor più montanaro di quando ci sono arrivato. Era l'anno del Vajont. I fiumi di questa altrettanto splendida regione, disastri ed esondazioni permettendo, sono quelli che ci rendono tutt'uno con la nostra Serenissima Capitale. Questo lo sapevo da sempre da quando giocavo sulle rive dell'Agno di casa e sentivo l'espressione maliziosa delle anziane alle nipotine "No sta far vedar la Bella Venezia". Ma a Venezia non ci sono arrivato come sognavo sui bachetei, che facevamo scorrere in apposite canalette, tra i sassi del fiume, con i nomi dei nostri paladini curiduri ciclisti dell'epoca, ma in autostrada sulla 600 di papà. Non è stato facile arrivarci; ci fu un momento di panico dopo Padova quando l'utilitaria di seconda mano si è spenta proprio sotto ai due pini marittimi che fanno ancora bella mostra, non si sa come dopo tutti questi anni, tra i due guard rail dello spartitraffico. Lì, per due ore, ho pregato le divinità arboree che non mi toccasse di tornare al paese, tenendo d'occhio papà, piegato sotto il cofano, che imprecava contro la dinamo; un termine mai più sentito nominare in quarantaquattro anni patentati. La discesa a Venezia in versione motorizzata mi privò dell'esperienza diretta, di quello che stava tra me e il mare che d'autunno si era soliti vedere dai margini delle montagne; fiumi lenti e sinuosi che luccicavano come bisce al sole di settembre. Così dopo qualche anno risolsi la mia disfunzione bipolare in maniera sciamanica, ripercorrendo a ritroso il percorso per risolvere la causa del mio male. Ho staccato la spina dal lavoro e dalla famiglia; zaino e sacco a pelo in spalla, ho risalito il corso naturale sul quale era nata Venezia, quello dei fiumi. Nel mio caso il cordone ombelicale era la Brenta nella versione canalizzata, per poi da Padova seguire il Bacchiglione, ecc. tutto a piedi sull'argine, pernottando sotto i ponti...