Che la Villa Nuova assomigli al Monte Spitz è abbastanza risaputo, tutti quanti prima o poi avranno fatto questa associazione tra l'albergo più “proletario” di Recoaro e la cima più vicina ed incombente sul paese.
Sulla sinistra dell'Agno, al sole delle Strade Nuove, sono sorte per ovvi motivi, fin dall'800, le dimore più “nobili” per la villeggiatura della ricca borghesia; Villa Lonigo, Cuzzi, Maria...dalla Fonte Franco alla Fonte Capitello, sulla via che porta alla Valle dei Signori, è tutto un susseguirsi di stili ed eclettismi architettonici, ai tempi in cui l'Austria Felix dettava legge in quasi tutto quello che aveva a che fare con la montagna e il villeggiare.
Nel 1800 l'architettura, esaurito il ciclo creativo, ha cominciato a rivisitare i modelli del passato: greci, romani, medio evo, egiziani, mesopotamici, cinesi..., le costruzioni diventano sempre più imponenti e magniloquenti, un guazzabuglio di stili difficile da districare, a volte di cattivo gusto.
Per non parlare del successo che Ludwig, il re matto di Baviera, aveva allora e conserva ancora oggi nell'immaginario collettivo, con le sue regge inaccessibili ispirate alle saghe della tradizione germanica; un successo che portò sul lastrico il piccolo stato di Baviera, e che oggi è confluito nel mondo globalizzato di Disneyland che impera su tutto.
Dall'altra parte della valle invece avviene il contrario di tutto quello che si era visto fino allora, alla luce del sole delle Strade Nuove; all'ombra dello Spitz, sul lato del Peserico, si erge per ultimo a dominare il paese un edificio proletario, compatto, senza fronzoli anche nel nome, come è bene impresso nella facciata di ponente “Appartamenti - Villa Nuova”, a ricordare che il nuovo ora è da questo lato della valle. L'edificio si concede un'unica civetteria, quel tetto a punta ad emulare il solitario Spitz, nessun richiamo a mondi esotici e fantastici, bensì all'ombrosa cima che tutti i recoaresi hanno stampata nel loro DNA.
E chi mai sarà questo matto impertinente che ha avuto la balzana idea e la sfrontatezza di misurarsi col mondo della Bella Epoque oltre fiume?
Pietro Storti, classe 1894, un villico dei Gattera di Sotto, una contrada adagiata su un ripiano rivolto a levante, talmente piccola e discreta che neanche si fa vedere da quelli del centro: un pugno di case con quattro-cinque famiglie dove tutti sono un po' parenti tra loro.
Da lì Pietro è partito agli inizi del 1900 per il Canadà, e oltreoceano non ha fatto altro che pensare a guadagnare e all'edificio che avrebbe costruito al suo ritorno, sui terreni di famiglia sotto la contrada, ma bene in vista che tutti lo potessero ammirare.
Nel 1920, a soli 26 anni, Pietro ritorna con il gruzzolo per sposarsi e stabilirsi definitivamente a Recoaro. Con l'aiuto dei famigliari, quattro sorelle e un fratello più giovane, si tirano su le maniche, e tirano su quella che sarebbe dovuta diventare anche la loro dimora, un edificio grande compatto, senza spreco di volumi, che avrebbe potuto contenere tutte le case della piccola contrada natia:
“La mia casa doveva essere di costruzione solida e bella, per me e per il mio paese”.
La sua casa c'è ancora, ed è stata veramente tirata su bene, ma per Pietro è rimasto un sogno.
La storia a lui non ha riservato un lieto fine: con moglie e figli è stato costretto a tornare in Canadà, e come molti altri emigranti sparsi nel mondo, che hanno contribuito al benessere dell'ingrato paese natio, completamente dimenticato.
Per trent'anni la Villa Nuova e più proletaria della valle è rimasta lassù da sola a farsi guardare, finché negli anni '50 hanno cominciato a spuntarle intorno e a farle compagnia le case dei paesani che non trovavano più posto in paese e in contrada.
Pietro Storti è ritornato a Recoaro nell'agosto del 1955. Per non farsi vedere a piangere dai paesani è arrivato a mezzanotte, si è fatto lasciare dall'autista un centinaio di metri prima ed è salito a piedi alla Villa, un po' confuso dalle nuove case in costruzione.
«Mi fermai e domandai a quei muri se avevo fatto male di farla. Dissero: no e poi no”».
In quell'estate Pietro Storti, mi avrà sicuramente visto giocare nel bel cortile della Villa.
Io non lo ricordo, ero troppo affaccendato ad arrampicarmi sugli enormi abeti rossi che facevano corona alla Villa, mentre aspettavo papà di ritorno dall'ufficio, tirare di fionda, fare le gare con le lumache facendole salire tra le modanature dei lampioni antistanti la Villa.
Caro Pietro, ti ringrazio ora per aver permesso che io crescessi nei primi 10 anni tra i muri della tua casa, e che muovessi i primi passi in quel meraviglioso cortile. La tua Villa è ancora lì e gode di ottima salute: oggi è un bellissimo albergo perfettamente ristrutturato, dove si mangia benissimo, ogni camera ha il suo bagno e non bisogna più scendere al buio per raggiungere le toilette nei pianerottoli delle scale.
Qualche anno fa una quarantina di tuoi discendenti d'oltre oceano sono ritornati a Recoaro e, assieme ai discendenti dei Gattera, hanno riempito la “tua” Villa pranzando allegramente in tuo onore nella nuova luminosa sala da pranzo.
Tutto questo a dispetto delle Ville di fronte al sole, quasi tutte decrepite e in rovina.
PS: Un grande grazie a Barbara Trevisan che mi ha fatto conoscere la struggente storia del prozio materno Pietro Storti.