Sono un artista impresentabile che vermifica e sedimenta nell'humus underground dell'Ipogeo.
Grattage, frottage, copia e incolla, un tempo erano le mie tecniche dada preferite. Senza senso.
Ora i miei maestri sono le talpe e i laboriosi lombrichi, gli operosi ciechi di terra. Ogni tanto come le talpe esco a camminare, immaginare, ascoltare.
Lo so che lassù c'è il falco che vigila dall'alto per sorprendermi a metà percorso, tra una tana e l'altra, ma io mi diverto ad ingannarlo:
non fischio come le marmotte, non scappo, sto fermo, immobile in silenzio.
Anche lui rimane immobile con le ali aperte, non vola, sta in ferma, mi cerca pronto a precipitarsi giù, ma mi ha perso di vista, non mi vede più.
Sono in estasi disteso, muto a braccia aperte e pancia all'aria, tra terra e aria.
Sono cieco di te, ti copio e ti incollo al cielo, e mi specchio in te mio rapace predatore.
Verrà la morte ma non avrà i tuoi occhi, falco della malora.
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