Un resistente nelle terre della Resistenza
Con l'ESU tra i Rapàro e la Mulattiera
Bepi Panozzo Cincion alle Cavernette
Giuseppe Panozzo Cincione 1949, abita in contrà Roi una delle più basse di Treschè Conca.
Come tutti laggiù anche lui è partito emigrante nel '68 raggiungendo il fratello maggiore che faceva il muratore a Vancouver in Canadà. Dopo otto anni è ritornato per assistere i genitori anziani e con il fratello oltre che allevare dieci mucche da latte ha aperto una falegnameria dove ieri, dopo essere saliti da Pedescala per l'erto Rapàro, ci ha accolti e dove ascoltando i suoi racconti ci siamo potuti asciugare dalla pioggia.
Bepi Panozzo Cincione racconta nella falegnameria in contrà Roi
Bepi da giovane ascoltava con passione i racconti di contrada dagli anziani di famiglia, dalle vicine di casa, le sorelle Bacichele staffette della Resistenza, dal comandante partigiano Spiridione che di ritorno dall'Australia si aggirava pensoso tra quelli che un tempo erano i suoi rifugi.
Così con la lenta cadenza di chi ha molto da raccontare, ci ha detto che quel pugno di contrade aggrappate al margine occidentale dell'Altopiano, erano più legate al fondovalle che ai comuni a cui hanno appartenuto nel tempo con non poche controversie: Cogollo, Tresché Conca e ultimo Roana.
A Pedescala si scendeva per pilare le granaglie nei mulini di Settecà, per rifornirsi di medicinali in farmacia, per recuperare il legname gettato in Val d'Assa dagli scoscesi pendii delle Fratte e delle Cavernette.
Settimanalmente da Forni saliva per il Rapàro il calzolaio Giovanni Dalla Via con il figlio Giovanni junior; portavano a spalla le scarpe riparate e quelle nuove, fondamentali al tempo in cui i contadini erano soprattutto camminatori, ora sono tutti trattoristi.
Fuori orario e furtivamente di lì passavano le “carghe” di tabacco di contrabbando, lontano dalla vista dei finanzieri, per risalire a Luserna, oltre il confine austroungarico di Casotto.
Per il Rapàro a tarda primavera scendevano i giovani a rubare la frutta nella valle che maturava rigogliosa ben prima che in montagna.
In tutto questo via vai si scendeva in valle anche per trattare la vendita di partite di legname e fare compra-vendita di bestiame al mercato di Arsiero.
Ovviamente assolti tutti questi compiti, con il gruzzolo in tasca si trovava il tempo di fermarsi nelle osterie per lunghe partita a morra o foraccio, e per andare a morose, magari a far progetti per il futuro: o lei avrebbe lasciato tutto per salire su, o lui si sarebbe stabilito giù a Cucco o a Piovan, come si suole dire in questo caso.
Le due ore di faticoso ritorno erano addolcite dal vino coltivato sui pendii soleggiati dell'Assa e aiutavano a smaltire le frequenti ciucche.
Molti Giacomelli, Pretto e Marangoni si sono accasati quassù, e altrettanti Panozzo si sono accasati in valle con i loro indispensabili soprannomi, essendo Panozzo l'unico cognome delle contrade basse.
Tempo di mughetti
Il Ràparo
Il sentiero più diretto ma molto più faticoso era il Rapàro, che prende il nome da un riparo alla base di un'ara nel tratto finale, ieri era punteggiata di profumati mughetti.
Lì nel punto dove gli incidenti erano più frequenti venne eretto un massiccio capitello a Sant'Antonio, costruito con maestria come quelli di pietra locale che abbelliscono le contrade basse.
La guerra del 15-18 non lo risparmiò e recentemente è scomparsa anche la piccola edicola di legno che lo sostituiva.
Difficile trovare qualcuno degli abitanti delle contrade che frequenti ancora l'antico sentiero, a parte cacciatori e bracconieri e l'amico Mario Marangoni che ieri è salito con noi e che ha ripristinato il vecchio percorso a fondovalle sommerso da una frana; gli unici a prendersene cura sono i volontari del CAI, il percorso è inserito nella loro mappa col n. 633, Fa sorridere tra le note il consiglio di percorrerlo solo in salita quando i concati ci scendevano con pesanti sacchi di orzo in spalla e greggi di capre.
La Mulattiera
Ieri al ritorno siamo scesi per la Mulattiera, il percorso più sicuro ma molto più lungo per Pedescala e Albaredo. Si diparte dalla contrà Dosso con numerosi schianti che ne ostruiscono il tratto iniziale ed è difficile individuarlo; il percorso è stato dismesso dal CAI ma è in corso un progetto per riqualificarlo.
Sul fondovalle si congiungeva con la carrareccia che univa Pedescala alle Vezzane; di lì passavano le transumanze per l'Altopiano, sia per Conca che per la Scaletta di Galmarara e Meatta.
L'alluvione del 1966 ha cancellato definitivamente la carrareccia ed il percorso di raccordo tra i due sentieri per gran parte ora segue il letto del fiume.
Risalendo invece il greto, dopo un centinaio di metri si trova il sentiero che sale ad Albaredo e la deviazione verso le Cenge che conducono a Rotzo e al Bostel.
LE CAVERNETTE
Con Bepi siamo scesi anche alle Cavernette, sotto le contrade Dosso e Ostarelli, una zona molto estesa al riparo da un enorme roccione che ricorda un maniero medioevale e sembra volerla nascondere dal resto del mondo. Lì era uno dei covi più sicuri dei partigiani garibaldini della brigata “Pretto-Pino” della Garemi.
Lì il comunista “Spiridione” del Dossso, il piccolo maestro “Tempesta” di Montecchio Maggiore, “Marte” della rossa Poleo di Schio e molti altri tennero in scacco i nazifascisti di Asiago. Lì accolsero per un mese la missione inglese “Freccia” col maggiore Wilkinson.
Presto la zona verrà inserita in un percorso “Sulle orme di Freccia” dal Paù alle valli del Posina, a cura di Liverio Carollo che ieri si è unito a noi per innalzare su una cengia del Rapàro un Menle al silenzio, un omino di pietra rivolto a Tonezza.
Corde e noccioli, tutto può servire
Tarcisio con la provvidenziale corda.. Al seguito Liverio Carollo e Mario Marangoni nel tratto finale di Sant'Antonio