Venezia
Sono sempre stato un amante delle buone pasticcerie, sempre più rare ora che i prodotti viaggiano confezionati e i cornetti sono tutti “rigenerati”, un termine cimiteriale che mi ricorda quel simpaticone del conte Dracula.
Purtroppo sono stato viziato dal mio lungo periodo veneziano e dalle pasticcerie famigliari di quartiere; le conoscevo quasi tutte e potevo girare per calli e sconte ad occhi chiusi, come se avessi il navigatore, per ritrovarle e togliermi le voglie a seconda delle stagioni, non solo i big come Marchini, Rosa Salva e Tonolo che li avevi sempre in mezzo ai piedi.
Ora che giro più per il Veneto disastrato tra rotatorie, capannoni, autostrade e bretelle, sono capace di fare chilometri per andare dove so io e dove sa qualche amico camionista, che cui mi segue e con cui ci scambiamo gli indirizzi buoni come carbonari. Lui però è più svantaggiato nel trovare posto per parcheggiare.
La fritola
Lo so, passo spesso per antipatico, ma non sopporto che quelle rare volte che trovo un cestino di riso mi venga servito freddo, appena tolto dal frigo. Il cestino va servito caldo!
O quando chiedo una fritola venessiana, sì fritola, come le balote del doge che servivano per eleggerlo, mi si offra un bignè ricolmo di zabaione e crema o vuoto.
La frittella veneziana è grossa turgida, ricoperta di zucchero, piena di uvetta e pinoli e la si può tagliare in due col coltello.
Il caro amico Bruno Frigo Baleti, passato in gioventù per Mauthausen, e da qualche anno a miglior vita lassù nel paradiso dei comunisti, assieme al Gusto Cesare e a quel cancaro de Stalin, aveva un cuore d'oro e ce ne portava un vassoio ogni anno a carnevale al bar Lèmerle a Cesuna. Mi manca molto.
Krapfen
Pur essendo molto teutone, soprattutto nell'aspetto, non ho mai avuto simpatie pan germaniche o austriacanti, tranne che per i dolci.
In un panificio in alta Romagna ho chiesto dei krapfen e il fornaio mi ha risposto sgarbatamente
che lì eravamo in Italia e che quello era un bombolone.
Ho faticato a trattenere il lati peggiori del mio carattere, quelli sì teutoni e nel regno del pane gli ho dato vino al vino, sfoderando la solita bistrattata storia: i Krapfen vengono dall'Austria-Baviera e chiamarli bomboloni fa venire il latte alle ginocchia da Romagna mia in fiore.
Kipferl
E già che c'ero, ormai i pochi gioviali clienti romagnoli erano tutti passati dalla mia parte, ho rincarato la dose di dolci e storia e un po' di retorica, con gli amati kipferl, i cornetti alle mandorle, parenti stretti per via reale asbugica dei più recenti croissant francesi.
Se l'Europa è un po' più cristiana e meno mussulmana, è grazie ai viennesi e gran parte degli europei accorsi sui bastioni di Vienna per difenderla dagli assalti degli ottomani. Per festeggiare la vittoria i fornai lavorarono tutta la notte per sfornare i kipferl dalla caratteristica forma a mezzaluna per sfottere l'esercito di Solimano in ritirata disastrosa, con l'inverno alle porte e i cannoni impantanati negli infidi Balcani.
A Salgareda dove si era rifugiato Goffredo Parise, ho visto un delizioso cortometraggio dove lo scrittore vicentino transfuga sulla sinistra della Piave, seduto a un tavolino del bar Lavena in Piazza San Marco, descrive il piacere di fare colazione con caffè e kipferl serviti come si deve.
Per oggi è tutto qua, ma continua...in Altopiano come dice il titolo.
Domani sveglia presto per votare e scendere a Venezia dove porterò il nipotino alla Fenice a vedere la Cenerentola di Rossini, una versione ridotta con laboratorio per bambini.
Prima di entrare, in Campo San Luca da Marchini, un kipferl non me lo toglie nessuno.
Almeno la domenica è salva, il lunedì non so...